Fine dell'Unione Sovietica

Nell'agosto 1991 (fra il 19 e il 21), l'Unione Sovietica si dissolse dopo un fallito colpo di Stato, tentato da alcuni elementi dei vertici militari e dello Stato (Janaev, Jazov e altri), che osteggiavano la direzione verso cui Gorbačëv stava guidando la nazione e il nuovo patto federativo delle repubbliche sovietiche che doveva essere siglato dopo poche settimane. Settori politici liberisti e filo-occidentali guidati da Boris Eltsin usarono il colpo di Stato come pretesto per mettere in un angolo Gorbačëv, bandendo il Partito Comunista e spezzando l'Unione. L'8 dicembre 1991 i presidenti di Russia, Ucraina e Bielorussia firmarono a Belaveža il trattato che sanciva la dissoluzione dello Stato sovietico.

In seguito l'Unione Sovietica venne sciolta formalmente dal Soviet Supremo, il 26 dicembre 1991. Il giorno prima Gorbačëv aveva rassegnato le proprie dimissioni da presidente dell'URSS.

L'11 marzo 1990 la Lituania aveva dichiarato la propria indipendenza. La seguirono, nel corso del 1991, prima le repubbliche baltiche e poi le altre repubbliche:

9 aprile - Georgia

20 agosto - Estonia

21 agosto - Lettonia

24 agosto - Russia e Ucraina

25 agosto - Bielorussia

27 agosto - Moldavia

30 agosto - Azerbaijan

1º settembre - Uzbekistan

21 settembre - Armenia

L'eredità politica e militare dell'Unione Sovietica fu raccolta dalla Russia, tanto da subentrarle già nel 1991 nelle Nazioni Unite e nel suo Consiglio di sicurezza come membro permanente.